Nel 1200 a.C. dalle sponde dell'Asia Minore venne spazzata via la città omerica e poco dopo nella penisola italica comparve la primitiva Urbe. Fu così che nacque l'erede del mito

Questo è il mio popolo.
Zaccaria 13,9

Pare debba cominciare dal Cielo il viaggio alla scoperta di Roma Celeste, della Nuova Gerusalemme. Come ha fatto Roma a diventare così grande, così importante per la storia della spiritualità e dell’Occidente? Vista da un'”altezza” siderale, la narrazione dei fatti inizia nel secondo millennio prima di Cristo, quasi una staffetta celeste.

Dalle sponde anatoliche sul Mar Mediterraneo venne spazzata via la città omerica di Troia e, più a nord, nella penisola italica comparve la primitiva Roma. Si direbbero eventi separati: le due comunità erano distanti tra loro e sconosciute l’una all’altra. Eppure, seguendo le tracce della leggenda la morte dell’una (Troia) e la nascita dell’altra (Roma) non sembrano affatto una casualità ma una “divina” continuazione della storia. Pressappoco, nel 1200 a.C. sulle coste dell’Asia Minore per circa dieci anni fu combattuta la guerra che portò i Greci a sconfiggere i Troiani. E nell’VIII a.C. nel Lazio i Latini scesero dal Monte Albano insediandosi a valle, sul colle Palatino.

L’idea di un destino comunicante fra le due città fu messa nero su bianco dal massimo poeta latino Publio Virgilio Marone. Nel suo lavoro epico – l’Eneide, poema composto tra gli anni 29 e 19 a.C. – Virgilio ha descritto Roma come frutto prodigioso dell’incontro tra realtà e meraviglia. Quando il testo fece parlare di sé la Caput mundi era già grande. Il dittatore Giulio Cesare era stato fatto fuori e suo nipote e figlio adottivo Ottaviano Augusto aveva voluto esaltare sé stesso e la sua sedicente origine oltremondana. Pretesa che può apparire quasi scontata per un regnante in cerca d’immortalità, ma in effetti brama che s’inserirà a pennello nei piani trascendentali.

I versi virgiliani raccontano che dall’inferno troiano riuscirono a scappare Enea (figlio della dea Venere), suo padre Anchise (che l’eroe portò sulle spalle), la moglie Creusa (figlia del re troiano Priamo, morta durante l’evasione) e il primogenito della coppia, Iulio Ascanio (da cui il nome gens Iulia).

Quasi sulle orme dell’omerico Ulisse, nel componimento latino è scritto che anche Enea errò per mare e terra (sette anni): toccò Turchia, Grecia, Albania, Italia, Tunisia e di nuovo l’Italia. Alla fine il profugo troiano approdò sul litorale romano. Qui sposò la figlia del re dei Latini, Lavinia, fondando la località che porta il suo nome, Lavinio. Trent’anni dopo, sui Colli Albani pure Iulio Ascanio fondò la sua città, Alba Longa. Nella storia di quest’ultimo regno tutto filò liscio fino al tredicesimo re della nobile stirpe, Proca. Poi la cupidigia fece strage. Dopo la morte del sovrano, lo scettro doveva passare al figlio maggiore Numitore. Ma il fratello Amulio lo cacciò, obbligando la figlia Rea Silvia (sua nipote) a farsi vestale. Poi il Cielo ci mise lo zampino. Il dio Marte s’invaghì della donna e dal loro amore nacquero i gemelli Romolo e Remo, “padri” della futura grande Roma. Eppure, il peggio non era ancora finito. La loro madre Rea Silvia finì in carcere e ai due “figli del Cielo” toccò la stessa sorte che fu di Mosè: furono messi in una cesta e abbandonati sulle acque del fiume Tevere, andando a naufragare a ridosso di un fico in un punto detto “Lupercale” (trovato dagli archeologi nel 2007), tra i colli Campidoglio e Palatino. Era il primo vagito di Roma.

Attraverso il poema Cesare Augusto era riuscito a riunire la sua schiatta “celeste”. Si era celebrato sovrano di pace tra gli uomini e consanguineo illustre degli dèi. In cima al suo albero genealogico era stata messa la dea Venere, madre di Enea; quindi quest’ultimo, avo semidivino di Romolo e Remo; dunque i pargoli del dio della guerra Ares. Infine, Ottaviano Augusto della gens Iulia. Come si vedrà, i soggetti coinvolti nella grande bellezza dell’Urbe non sono solo “imparentati” tra loro, ma perfettamente incastrati in un mosaico in cui Cielo e terra andranno sempre a braccetto.