15. La Shavuot come il Pantheon

Due religioni, stessi simboli. Un esempio? Si usano rose per rievocare la rivelazione della Torah sul Sinai e si gettano petali per ricordare il sangue di Cristo versato per l'umanità

Ah, il profumo dei fiori! Una fragranza naturale che ci riempie l’anima e ha ispirato generazioni di poeti e innamorati; la loro essenza è come un linguaggio che ci ricorda immediatamente la festa di Shavuot (settimane) e l’usanza di addobbare le sinagoghe con migliaia di fiori profumati come simbolo della fioritura improvvisa del Monte Sinai e dello straordinario aroma che si diffuse durante il momento della rivelazione della Torah. Da notare che tra i fiori preferiti portati dagli ebrei in sinagoga prima dell’inizio della festa, le rose erano e sono quelle predilette in quanto è scritto nel Cantico dei Cantici 2,2 “…Come una rosa tra le spine tale la mia amata tra le ragazze”, ciò sta a significare, secondo l’allegoria di molti Maestri, che il popolo d’Israele stesso viene paragonato ad una rosa.

Da qui l’associazione nel considerare Shavuot con la definizione di Moed rosa, festività rosa o pasqua rosa.
È scritto in Dt. 16,9-10:

“Dovrai contarti sette settimane; comincerai il computo delle sette settimane da quando si comincia a mettere la falce nelle messi e quindi farai la festa delle settimane…”

Dunque, dopo quarantanove giorni, per l’esattezza al cinquantesimo Dio parlò agli uomini riuniti sotto il Monte Sinai ed un profumo di fiori riempì la terra, tutto fu silenzio, gli uccelli smisero di cinguettare, ed ogni creatura tacque nel momento che il Signore pronunciò: “Io sono il Signore tuo Dio…” Questo profumo divino lo ricordiamo anno dopo anno con l’arrivo della festa… Tanto che nell’Archivio Storico della Comunità ebraica di Roma nel giornale della “Voce della Comunità israelitica”, anno 1957 si può leggere un delizioso sonetto in giudaico- romanesco che riguarda l’uso di adornare la Sinagoga con le rose:

Dimme un po’, che s’aspettano le spose?…
Perché ar Tempio ce stanno tante rose?…
Sei’gnorante un ber po’…Non ce lo sai che oggi è Sciavugnodde!… E’ na festa in onore der Creato quanno che Dio ce dette la ”Torà”

A parte questo allegro sonetto che ci ricorda sempre l’allegoria di Israele vista come un fiore, sposa del Signore, Mosè salì sul monte Sinai e ricevette da Dio i Dieci Comandamenti e la Torah (insegnamento) contenente le norme di vita del popolo ebraico e accettati da Israele riunito sotto la montagna. Nel momento della promulgazione, narrano i nostri Maestri, che non vi erano solo ebrei ma anche gente che era andata via dall’Egitto con Israele adunata sotto il Sinai. Vorrei sottolineare che il Decalogo, anche definito “Aseret Diberot” ( le dieci parole comandamenti) divenne il Codice non soltanto per gli ebrei ma per tutta l’umanità. Per questo che l’Eterno scelse come luogo per consegnare la Torah il deserto, terra di tutti e di nessuno, luogo aperto e privo di confini affinché tutti i popoli ascoltassero la Sua voce. Il Sinai è uno dei più piccoli monti di Israele e questa terra è un luogo di passaggio dove nessuno può viverci a lungo e considerarla come sua proprietà. La voce di Dio non si perse nel deserto, ma fu accolta con amore non solo dal popolo ebraico, ma da tutte quelle religioni che adottarono i comandamenti come legislazione di popolo civile. Gli altri insegnamenti contenuti nella Torah e le seicentotredici mitzvot (precetti) fu offerta da Dio al popolo d’Israele in quanto essi avrebbero dovuto distinguersi nella loro vita con un comportamento morale ed etico scandito dagli ammaestramenti divini.

Inoltre la festa fa parte delle Shalosh Regalim, le tre feste di pellegrinaggio insieme a Pesach (Pasqua) e Succot ( Capanne) in quanto come è scritto in Shemot 23,14- 19:

“Tre volte all’anno ogni tuo maschio comparirà al cospetto del Signore(…) Le nuove primizie della tua terra recherai nel Santuario del Signore Dio tuo”.

Dato il carattere anche agricolo della festa, è uso leggere il libro di Ruth, la moabita dalla cui stirpe nascerà la casa del re David e del futuro Messia. Inoltre, è consuetudine durante Shavuot cibarsi di latticini in quanto secondo la tradizione, lo studio della Torah ha il sapore del latte e del miele e il termine Chalav, latte, in ebraico corrisponde al numero quaranta, in ricordo dei quaranta giorni che Mosè si trattenne sul monte Sinai. Allora, Shavuot, festa della donazione della Torah, festa delle primizie, festa della mietitura, Pasqua rosa in realtà non fa che riaffermare sia l’universalismo ebraico che la volontà di mantenere usi e tradizioni che dimostrano la vitalità e la continuità della vita ebraica all’interno della Comunità nella quale viviamo e agiamo ma soprattutto ciò avviene, di generazione in generazione.

Lilli Spizzichino – Fonte Shalom.it