L'area sorta sulle spoglie del campo santo ebraico all'Aventino. Furono riesumate 7800 salme e rimossi più di 300 monumenti funerari. Di quello sfratto restano solo due cipressi

Il Roseto comunale di Roma si sviluppa sul versante orientale del Colle Aventino.

La costruzione delle nuove mura di Porta Portese promossa nel 1587, si sovrappose all’antico cimitero ebraico che si trovava all’interno della vecchia Porta Portese (una delle due antiche porte romane della città), nel rione Trastevere, tanto che ne fu richiesto lo spostamento. Fu proprio la costruzione di queste nuove mura che collegò con un filo sottilissimo il nuovo cimitero ebraico dell’Aventino e il Roseto di Roma. Dal 1895, dopo quasi due secoli e mezzo, l’Aventino non venne più utilizzato.

Nel 1934 il Governatorato iniziò ad espropriare i terreni che si trovavano nella zona e di questi ne faceva parte anche il cimitero ebraico. Per le esumazioni dei corpi, furono usati procedimenti molto sbrigativi non conformi ai precetti ebraici stabiliti esplicitamente al momento dell’esproprio. Non furono rispettate nemmeno le clausole inerenti ai giorni festivi ebraici in cui gli operai furono costretti comunque a lavorare senza alcuna sorveglianza rituale. Gli operai fecero in tempo a riesumare appena 7800 salme e a portar via poco più di 300 monumenti funerari.

Nel 1950, la zona fu destinata a diventare un’area di verde pubblico. Il Comune di Roma stabilì che la stessa doveva essere impiegata per realizzare un nuovo roseto poiché quello che si trovava sul colle Oppio venne distrutto dai bombardamenti.

Come segno di riconoscenza alla Comunità ebraica, che aveva permesso di creare un roseto al di sopra di un terreno ritenuto sacro e che custodiva ancora gelosamente dei corpi, il Comune di Roma fece apporre all’ingresso di ognuno dei due giardini una stele raffigurante le Tavole della Legge, mentre i viali interni del roseto presero la forma di una menorah, il candelabro a sette braccia, simbolo dell’ebraismo. Oggi tutto ciò che ritroviamo dell’antico cimitero sono alcuni cipressi che svettano solitari nelle poche aiuole della zona e a stretto contatto con l’area del Roseto di Roma.

Samantha Lombardi (fonte: cultura.iltabloid.it)

“È difficile trovare sulla terra un luogo di sepoltura che sia stato testimone di tante lacrime quante ne videro i cimiteri ebraici di Roma. Qui il grido di dolore che si innalzava al cielo non poteva non scuotere i trapassati che vi riposavano. Su quelle fosse essi sfogavano nel pianto la profonda mestizia del loro cuore; là salivano dalla terra verso l’alto dei cieli le voci del sangue di migliaia di fratelli. Ma anche sulla visita al “campo delle lacrime” le antiche consuetudini imponevano loro delle limitazioni. Esse potevano andare in pellegrinaggio alle tombe soltanto al compimento del lutto rituale di sette e trenta giorni, talvolta dopo dodici mesi dall’evento mortale e nell’anniversario della distruzione di Gerusalemme. Ma quando in quei giorni andavano nel cimitero, chi avrebbe potuto porre un freno al loro grido di dolore?”

Abraham Berliner