Calvario e salvezza sembrano opposti e la basilica li simboleggia. Come? Lo spiega Paolo VI: "L'opera salvatrice non è solo la morte di Cristo ma anche Resurrezione e Ascensione"

Maltrattato, si lasciò umiliare; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca.
Isaia 53,7

Calvario e salvezza. Sembrano concetti agli antipodi, se c’è l’uno non può esserci l’altro. Eppure, per la teologia non è così. Esiste un luogo-simbolo dove l’elemento che lega i due opposti è evidente e lascia intravedere anche qualcosa “oltre”. È Santa Croce in Gerusalemme, rappresentazione monumentale della Passione di Cristo.

Da fonti storiche si sa che la costruzione della basilica cominciò nel 350 d.C. per custodire le reliquie della crocifissione che Elena portò dalla Terra Santa. Una sorta di “ufficio prove” della morte del Salvatore.

Ma come si fa a tenere assieme tribolazione e salvezza? In ragione di quale divina equazione il supplizio di uno può diventare il riscatto di molti? Infatti è “un mistero”, sosteneva Paolo VI nell’udienza generale del 15 settembre 1971. “L’opera redentrice di Cristo – diceva – vuol significare sinteticamente tutti i principali fatti componenti l’opera salvatrice: non solo la Passione e la Morte di Lui ma – ecco il passaggio cruciale – la Resurrezione e l’Ascensione al cielo… La Croce – concludeva il Papa – non descrive tutta la realtà della salvezza… vuol dire il passaggio dalla morte alla vita, dallo stato presente di esistenza allo stato soprannaturale”.

Quindi, secondo le interpretazioni papali sarebbe questo l’”oltre” al quale si accennava all’inizio, ed è pure il motivo per cui le mura di Santa Croce in Gerusalemme sarebbero il tramite simbolico dal calvario all’eternità. Le due dimensioni non si escludono a vicenda – precisava il Pontefice – ma si rivelano talmente connesse tra loro che non possono esistere l’una senza l’altra.

Il 25 marzo 1979 anche Giovanni Paolo II attribuiva alla basilica lo stesso significato, lanciando però un invito a mo’ di sfida. Giunto in visita nella chiesa, aveva terminato il suo discorso con una sorta di provocazione: “Non abbiamo rinunciato interiormente alla redenzione mediante la croce di Cristo, mettendo al suo posto altri programmi puramente temporali, parziali, superficiali? (…) Il Santuario della Santa Croce – concludeva – è il luogo in cui dobbiamo farci queste domande fondamentali”.