Camminerai su aspidi e vipere.
Salmo 91,13
A Roma c’è un gigante “spaventadiavoli” che sbarra la strada al Maligno. Si trova al centro di piazza San Pietro. È alto circa quaranta metri e giorno e notte sembra vegliare sullo slargo senza stancarsi mai. Dal 10 settembre 1586 – da quando fu issato da 900 operai, 40 argani e 75 cavalli – si può dire che in ogni istante l’obelisco del Vaticano ripeta in silenzio la frase scolpita sul basamento in granito: Ecce crux domini fvgite partes adversae vicit leo de tribv ivda (Ecco la croce del Signore, fuggite o schiere nemiche. Il Leone della tribù di Giuda ha vinto).
C’è stato un tempo in cui quella frase è stata pronunciata davvero e intensamente. Stando alla tradizione, a dirla fu sant’Antonio da Padova (1195-1231). Si narra che al francescano portoghese, al secolo Fernando Martins de Bulhões, trasferitosi nella città veneta, apparve in sogno una donna vessata dal demonio alla quale il frate insegnò la formula rituale che poi lei avrebbe dovuto recitare per essere liberata.
Allargando lo sguardo, in piazza ci sono anche altre sorprese legate all’obelisco di San Pietro. La prima si rifà ancora a una storia-leggenda. Ai tempi dell’imperatore Caligola in cima al monolite venne sistemato un globo in cui si diceva fossero conservate le ceneri del dittatore romano Giulio Cesare, assassinato e poi divinizzato. La seconda vicenda, invece, narra che nel dicembre 546 gli Ostrogoti di Totila saccheggiarono la città ma senza toccare l’alta sfera per la quale pare avessero timoroso rispetto.
E poi c’è il terzo avvenimento, stavolta più simile a un oltraggio. Nel dicembre 1527 si menziona che i Lanzichenecchi si divertirono a bersagliare il “pianeta” con i loro archibugi. L’anno prima della collocazione dell’obelisco la palla fu rimossa e oggi si trova esposta nei Musei Capitolini. In cima al “gigante” domina la croce.