Al Triclinio di Leone III i simboli di Cielo e terra. Con una morale: privo di coscienza cristiana il potere temporale non sopravvive agli eventi e l'uomo non può aspirare alla vita eterna

I giusti possederanno la terra e la abiteranno per sempre.

Salmo 37,29

Prima viene il Cielo poi la terra. Questo dice il fiammeggiante mosaico absidale del Triclinio di Leone III. Il cosiddetto “Nicchione” fu eretto in piazza San Giovanni in Laterano dal 795 al 816 e, in parte, visibile ancora oggi. Nell’opera si rappresenta chi, al tempo, poteva avere autorità sulle vicende umane. Al primo posto il potere della Chiesa e al secondo quello imperiale. Se quest’ultimo voleva fregiarsi di un’aura “celeste”, godere del favore del Cielo e governare in grazia di Dio allora doveva augurarsi di ottenere la benedizione del pontefice. Soltanto il Vaticano aveva l’investitura spirituale per rendere “sacro” lo scettro regale.

Quindi, i fatti esposti nel Triclinio riassumono i ruoli che ciascun protagonista della storia poteva avere secondo un ordine di apparizione deciso dall’alto. Nell’800, la notte di Natale Leone III incoronò in Vaticano il franco Carlo Magno, nuovo capo del Sacro romano impero. Fu il Santo Padre a cingere la testa del sovrano guerriero e a celebrarlo banchettando. Gli storici, infatti, spiegano che all’epoca la struttura comprendeva altre nicchie dove si tenevano ricevimenti ufficiali e che quella che si ammira oggi è solo una parte della versione restaurata nel 1743.

A sinistra del “nicchione” si vede nei mosaici il film della successione: Cristo consegna a san Pietro le chiavi del potere religioso e a Costantino il vessillo del potere politico. A destra, invece, l’apostolo cede il pallio (striscia di lana benedetta) a Leone III e l’insegna a Carlo Magno.

Nell’ampio sfondo il Salvatore in piedi e i discepoli accanto. La scena ultima è affidata al papa, che deposita l’emblema imperiale nelle mani del nobile straniero. La morale attribuita al Triclinio: privo di coscienza cristiana il potere temporale non può sopravvivere alle intemperie della vita terrena, quindi non può aspirare all’eternità.